Cisterna

28 giugno 2011

Il Mac Gyver Menu

Mc Gyver Menu
Una passeggiata per le vie del centro mi riporta alla memoria gli anni dell'Università.
Luoghi, negozi, suggestioni. E' una specie di viaggio nel tempo. Un viaggio piacevole e spensierato. Quante cose sono cambiate rispetto ad allora!
Camminando arrivo davanti allo storico Mac Donald's di Piazza Castello. Un bel panino, ecco quello che ci vuole ora!
Da quanto tempo non entro qui... l'arredamento è un po' cambiato.
Mi metto in coda, e nell'attesa del mio turno studio l'elenco dei panini.
Troppo pesante.
Troppo piccolo.
Troppo grasso.
Troppo porcoso.
Toh... e questo cos'è? Non l'ho mai assaggiato... Mag Gyver Menu. Boh, proviamo!
Un Mac Gyver menu con Coca-Cola Zero, grazie.
La cassiera sorridente mi porge una scatola di cartone, simile a quella dell'Happy Meal.
Che velocità.
Strano che non mi abbia domandato se voglio aggiungere una salsa, un gelato, un caffé o qualche altro accessorio gastronomico del cazzo. Mah.
Estraggo il portafoglio per pagare. La cassiera me lo strappa di mano prima che possa aprirlo e preme un pulsante sul registratore di cassa.
Percepisco il vuoto. Il nero. Una botola si è aperta sotto i miei piedi.
Con un tonfo atterro in una stanza buia. No. Non è proprio buia. Gli occhi pian piano si abituano alla luce flebile che la illumina. Sembra la cella di una prigione. Ci sono anche altre persone.
Buongiorno.
Buongiorno.
Benvenuto.
Buongiorno.

Tutti mi salutano cortesemente. Confuso dagli eventi ricambio. Attacco bottone.
Scusate, ma cosa mi è successo? Dove mi trovo?
Si trova nella Mac Gyver Lounge. Non ha ordinato un Mac Gyver menu?
Eh, sì, certo. Pensavo fosse un panino...
Mannò. Quale panino? Il Mac Gyver menu è una esperienza gastronomico-emozionale.
Ma cazzo, a me bastava un panino! Ho fame.
Stia tranquillo: usciremo tutti da qui sazi e felici. Ora dobbiamo prima di tutto liberarci, e poi ognuno di noi troverà nella sua scatola qualche accessorio con cui proseguire l'avventura alla ricerca del cibo.
Provo ad alzarmi, ma i miei movimenti sono innaturali. Che succede? Sono avvinghiato in una rete.
Mi guardo meglio attorno. Ognuno di noi è avvinghiato in una rete. Chi di più. Chi di meno. Tutti si dimenano per uscirne. Faccio altrettanto. Passano interminabili ore. Tutti si divertono tranne me. Non capisco. Forse loro sono veri fan di Mag Gyver, io no.
Un uomo in giacca e cravatta riesce a divincolarsi. Si alza in piedi soddisfatto, fischiettando la musica trionfante di Mac Gyver. In un crescendo musicale raccoglie la sua scatola e la apre.
Al suo interno vi trova una forcina per capelli, una canuccia, un fusillo e un buono per ritirare un frangiflutti al porto di Genova. Con la forcina per capelli apre la porta. Sgranocchiando il fusillo, con aria soddisfatta si congeda.
Una voce tra i prigionieri grida LA PORTA!
Ah, scusatemi
L'uomo torna sui suoi passi per tirarsi dietro la porta.
Ma minchia.
La mia rete cede. Bene! Mi alzo e mi avvicino agli altri prigionieri per aiutarli.
Ma che cazzo fa? Come si permette? Vada via
Scusate scusate, ora vado. Apro la mia scatola.
Due lecca-lecca e un elastico. E con questi che ci faccio?
In piedi in mezzo alla stanza fisso il mio Mac Gyver Menu.
Improvvisamente un clack
Sopra la mia testa si apre la botola. Qualche coglione ha ordinato un Mac Gyver Menu.
Con un gesto improvviso e disperato mi arrampico e salto fuori dalla botola.
I clienti in coda alla cassa mi guardano curiosi.
Fingo indifferenza ed esco.
Sporco, stanco, sudato, confuso, senza portafoglio... che cazzo faccio? Ho solo 2 lecca-lecca e un elastico.
Idea!
Nella mia mente risuona la musica trionfale di Mac Gyver. Forse la canticchio anche. Non so.
Apro i lecca-lecca. Li lecco una volta, poi sfruttando il loro potere adesivo me li appiccico agli occhi.
Con l'elastico fisso meglio i lecca-lecca. Ora non vedo nulla. Non vedo, però sento benissimo. L'udito è iper-attivo.
Sento un fischio metallico e dei tintinnii. Il tram in corsa è vicino. E'a pochi metri da me.
Sorrido e salto sui binari, lasciandomi tutto alle spalle. Ho vinto.
Tattà tattatatà tattatà. Tattà tattatatà tattatà.

21 giugno 2011

L'Almanacco del Giorno: 21 Giugno

Che gioco di parole del cazzo!
E' scritto nel libro della Genesi che Adamo ed Eva mangiarono il frutto proibito il 21 Giugno.
Dio infatti mise all'ingresso del giardino dell'Eden, oltre alla prima bozza delle Tavole della Legge, una tavola di pietra integrativa con sopra scritto:
e...state alla Larga dal Frutto Proibito.
Il 21 Giugno Adamo ed Eva, convinti che si trattasse dell'ennesima manifestazione estiva con un nome del cazzo, si recarono al giardino dell'Eden e mangiarono il frutto proibito con la stessa giovialità e serenità di una coppia che va ad una sagra.
Fin dalla notte dei tempi l'evento è ricordato con una stagione apposita, e con una apposita battuta del cazzo che è l'accanimento della punizione di Dio all'Uomo per aver violato la Legge.
Pertanto come ogni anno, con il solstizio d'Estate, inizia anche quest'anno ufficialmente l'Estate.
Da oggi saremo finalmente tutti autorizzati ad usare lo splendido gioco di parole e...state, che significa sia Estate, inteso come stagione, che e...state, inteso come esortazione a restare. Quante grasse risate. Che burle.
Una gustosa curiosità a riguardo: forse non tutti sanno che il gioco di parole in questione funziona solo nel parlato, perché nello scritto non c'è ambiguità, e il vero significato è evidente: Estate ed e...state si scrivono in modo diverso.
Probabilmente è proprio per questo che la battuta è così diffusa nella sua forma scritta.
Sono in attesa trepidante di questo momento fin dalla fine dell'Estate scorsa: non vedevo l'ora che arrivasse il 21 Giugno per stupirmi ancora con qualche splendido cartellone contenente l'irresistibile gag.
Viva l'E...state!

18 giugno 2011

Discorso intorno al giuoco del tennis

Voila
Primo piano su un bambino di 10 anni, con le mie fattezze. Una maglietta senza pretese, un paio di pantaloncini senza pretese, un paio di scarpe senza pretese. Un bambino base degli anni ottanta. Intorno cicale e grano maturo. Pacifica campagna d'estate.
Nella casa di campagna del mio amico di città è festa: domani il mio amico inizierà il suo primo corso di tennis. Gli hanno comprato tutto il necessario: un completo da tennis professionale, una racchetta professionale, un set di palline professionali.
Son tutti contenti. Sembra una roba figa... ho deciso: mi aggrego.
Per l'abbigliamento non c'è problema. Maglietta senza pretese, pantaloncini senza pretese, scarpe senza pretese.
Manca solo la racchetta. Anche per quella non c'è problema: la comprerò domani mattina lungo la strada, al negozio di giocattoli: da Iole. Iole ha tutto. Un bambino di città non può capire il mistero glorioso del negozio di paese, in cui ogni bene è in vendita.
Il mattino dopo, 10 minuti prima del corso, passo da Iole. Racchetta GIG in legno. 14900 lire. Oplà, tutto è facile quando puoi appoggiarti ad un negozio di paese.
Si può andare al campo, come da programma.
Incontriamo Perseo Valeri, il mio primo maestro di tennis. Mi ricordo che a me sembrava un vecchio. Probabilmente era più giovane di quanto lo sia io oggi.
Poi ricordo le lezioni. Gli altri giocatori. Le ore liete. Francamente non ricordo il risultato di nessuna delle mie partite, né la prima volta che ho vinto o che ho perso. I miei ricordi sono altri. Il cazzeggio. Scherzi. Battute. Pomeriggi. Serate. Il tavolino del bar. L'acqua e menta gasata per le gare di rutti post-partita.
Per me il tennis era un meta-sport, una specie di momento conviviale.
Da allora molte cose sono cambiate: ho cambiato racchetta, in Italia hanno introdotto l'Euro, Iole ha venduto il negozio. Ho finito di studiare, ho inizato a lavorare. Ho raggiunto e forse superato l'età di Perseo Valeri.
Però il tennis ha sempre avuto per me un valore positivo.
Con questo spirito qualche tempo fa ho accettato l'invito di un avvocato che lavora con noi e siamo andati a giocare a tennis insieme. L'ho fatto più per il piacere conviviale che per il gesto sportivo, anche perché l'avocato ha tipo 70 anni.
Abbiamo organizzato una partita in doppio con 2 suoi amici. Tutti scazzati. Nel tutti includo anche me stesso. La palla imprendibile nell'angolo per noi non era un gesto atletico. Era un gesto cagacazzo, e meritava di essere punito con pene corporali e insulti. Abbiamo giocato per il piacere di stare insieme, di scherzare, di giocare in senso lato. Mi sono divertito molto.
Da allora ho ripreso a giocare regolarmente a tennis ed ho assoldato un coach che funge per me da amico a comando
...l'amico a comando, che lusso perverso: scelgo io se, quando e come si gioca. Quando ho voglia di giocare giochiamo. Se voglio palleggiare palleggiamo. Se mi viene lo sbuzzo di centrarlo con una pallina, lui si limita a schivarla e non si incazza.
Nel frattempo mi mostra le novità tecniche e corregge i miei difetti più grossi.
Poi quando capita la partita più seria, con giocatori più seri, grazie a queste ore di cazzeggio, sembra quasi che io sia in grado di giocare a tennis. Butto la pallina dall'altra parte assumendo una posizione plastica simile a chi sa quel che sta facendo. Recito stupore e sgomento quando faccio una cappella.
In realtà è tutta finzione nell'attesa dell'acqua e menta gasata.
Una finzione divertente.

08 giugno 2011

La sindrome del secondo giorno

un colpo di spugna e si riparte
In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno.

Il primo giorno ha sempre il fascino dell'epico.
Per questo i buoni propositi sono così attraenti: hanno il fascino del primo giorno.
Da domani smetto di fumare!
Da domani vado a correre tutte le mattine!
Da domani mi metto a dieta!
Dai, cazzo, da domani tiro su l'Universo!

Io sono sensibilissimo al fascino epico del primo giorno.
Per me il problema non è mai il primo giorno. Il problema viene dopo.
Nasce il secondo giorno, quando l'impegno epico deve trasformarsi in routine.
I fuochi d'artificio del primo giorno sono stati sparati. L'eco degli squilli di trombe è passato. Le stelle filanti che celebravano il buon proposito sono per terra, calpestate dal tempo.
Una brezzolina fredda accompagna la solitudine del secondo giorno.
Per me il secondo giorno è la tomba dei buoni propositi.
Il giorno in cui non riconosco più le mie azioni del giorno precedente, e rovisto nel mio inconscio alla ricerca di possibili scuse. Una ragione per interrompere il mio proposito.
Purtroppo io non sono l'esempio dell'integrità e il mio inconscio ha un grande potere persuasivo nei miei confronti. Entro un paio di giorni la maggior parte dei miei buoni propositi va dal culo.
A volte resisto un po' di più, ma non molto. Ho il presentimento che al massimo potrei resistere una settimana.
Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto.