Cisterna

19 aprile 2008

La sindrome del Buondì

Il buondìForse non tutti sanno che le tecniche più sofisticate di arricchimento dell’uranio sono nate in ambito alimentare. Si tratta degli stessi processi usati dai produttori di merendine della mia infanzia per creare le bombe caloriche più concentrate di sempre. Snack gustosi ma letali passati alla storia con nomi di battaglia apparentemente innocui, come soldino, tegolino, girella…
Brioches tanto caloriche da emettere luce propria. Un’ora e venti minuti di esposizione ad un soldino equivaleva ad un pasto completo. Le mosche prima di posarsi sulla sua glassa di cioccolato erano costrette a posarsi su una dose di insulina: un fenomeno scientificamente dimostrato.
Merendine poi vietate dalla convenzione di Parma. Alcune sono sparite proprio. Altre sono state riconvertite per usi civili. Tipo il Mars, che quando ero bambino era grande come quello attuale, ma concentratissimo. Pesava come un blocco di travertino e si deformava a fatica sotto la pressione della mandibola. Un vero e proprio Mars arricchito.
Esistono però alcune merendine sfuggite indenni dalla grande epurazione calorica degli anni novanta. Sono quelle originariamente tacciate di povertà. Le merendine degli sfigati. Quelle con una blanda e patetica patina di salutista, come il saccottino e il buondì.
Porca puttana, quando ero bambino io, il saccottino era la brioche dei malati! Vuoi un saccottino? Mamma, che cazzo dici… sto bene! Dammi un bel tegolino. Friggimelo magari…
Il buondì più gettonato era completamente ricoperto di cioccolato. La versione liscia a me faceva schifo. Sembrava che qualcuno si fosse leccato via uno strato. All’epoca tutte le merendine salutiste erano considerate appannaggio esclusivo dei vecchi. Prodotti per gente che aveva patito la fame e la guerra, e che necessitava di una introduzione graduale al tripudio di dolcezza delle merendine arricchite. Cazzo, questa è storia!
Poi l’epurazione. Un misterioso evento lampo, come l’estinzione dei dinosauri. La realtà si è improvvisamente trasformata in un ricordo offuscato.
Le merendine degli sfigati sono diventate la norma. I bambini se ne accontentano, convinti che siano gustosissime. Come si dice… quando mancano i cavalli, anche gli asini galoppano.
Dopo tanti anni di resistenza psicologica, ieri ho chiuso le ostilità verso le merendine salutiste, e ne ho mangiata una. E’ successo davanti al distributore automatico che c’è sul lavoro.
Ero intento a scegliere una qualche porcheria da mangiare. Tra le varie alternative, figurava anche un buondì. Quello liscio. La versione apparentemente leccata. Non so spiegare la ragione che mi ha spinto a prenderlo. Forse ho percepito che entrambi giungevamo dallo stesso passato. Una misteriosa intesa. Azzardo che fosse bilaterale.
Dopo aver strappato l’involucro, mi sono trovato tra le mani il buondì. Indifeso. Piccolo. Davvero piccolo rispetto alla mia mano. Lo ricordavo enorme, difficile perfino da afferrare con una mano sola. Sarà più piccolo lui? Sarò cresciuto io? La macchinetta mi avrà inculato? Boh, ho provato una sensazione destabilizzante.
Poi il primo morso alla merendina. Con il sapore è fluita nella mia mente una serie di ricordi: io nel letto, sotto le coperte, che guardo la televisione, mentre i miei compagni sono a scuola. Il calore delle cure della mamma, la tazza di te bollente appoggiata in grembo, ed il buondì tra le mani. Enorme. Proprio come lo ricordavo. Un gusto sfigato, ma che faceva bene alla salute. La nonna era fiera di me. Dovevo sforzarmi…
Che strana situazione: qualcosa che ricordavo enorme, ed ho scoperto essere piccolo. E qualcosa di piccolo, che racchiudeva in sé qualcosa di enorme, sovrannaturale. La sindrome del buondì.