Cisterna

12 ottobre 2009

Dello strano fenomeno dei ciappini tecnologici: Kindle

Il fenomeno kindle
In questi giorni non sei nessuno se non esprimi gratitudine per l'arrivo in Italia di Kindle.
TV, internet, carta stampata, radio... ogni media è buono per esprimere gaudio massimo per l'atteso avvento.
Un mio vicino di casa ha sacrificato il bue più grasso a Kindle.
So di una fondazione che sta raccogliendo soldi per costruire un idolo d'oro con le fattezze di Kindle.
...ammetto di essere un po' ignorante, ma comunque se tutti dicono che 'sto Kindle è cosa buona e giusta, beh, devo averlo anche io!
Fedele al benevolo dio Kindle, ieri sono corso all'Ikea a comprarne uno.
Sorpresa delle sorprese: nonstante il nome del cazzo, non è un mobile Ikea.
Eh?!?!? E allora cos'è?
Mi sono documentato: trattasi di ennesimo ciappino tecnologico. Peraltro nella variante ass-plug (presa per il culo).
Kindle è un bagaglietto grande come una paletta per raccogliere la merda, e con le fattezze di una paletta per raccogliere la merda. Per distinguerlo da una paletta per raccogliere la merda lo hanno dotato di una tastiera.
Già... ma cosa me ne faccio di una paletta per raccogliere la merda con la tastiera?
Gli adepti di Kindle mi educono sul fatto che Kindle permette anche una seconda funzione: leggere gli e-book.
Eh?! Ho capito bene?! Si parla di libri?!?!?
...se tutti gli entusiasti sostenitori di Kindle avessero speso il prezzo di Kindle in libri, oggi il proprietario della mia libreria di fiducia si muoverebbe in yacth all'interno di un canale sotterraneo scavato apposta per permettergli di raggiungere la città in barca.
Madonna che ciappino del cazzo han tirato fuori stavolta! Non riesco a capacitarmi.
Per me non c'è paragone tra un libro cartaceo e un e-book.
Un libro cartaceo è sempre meglio: lo puoi trattare male, buttare in fondo alla valigia, dimenticare al sole, sotto la pioggia.
Lo puoi spiegazzare, scarabocchiare, sottolineare, prestare, regalare.
E alla fine della lettura lo puoi conservare insieme agli altri libri.
Ogni singolo libro, con le sue sottolineature, le note, le pieghe, le macchie, rappresenta un momento della mia storia. E' uno dei fotogrammi che formano il film dell'evoluzione non solo del mio pensiero, ma della mia vita stessa.
Che cazzo ne sa di tutto questo Kindle?
Kindle ha le batterie. Possibile che ogni troiata che ho in casa debba essere elettrica? E' ridicolo.
Se mi dimentico di caricarlo, non posso usarlo.
Se mi dimentico Kindle al cesso, il vapore me lo fulmina.
Se lo butto in fondo alla valigia si spacca.
Se lo porto in spiaggia si rovina.
Se lo uso come spessore per un tavolo che balla, non è regolabile in altezza.
...cazzo, non volevo dirlo, ma temo che perfino per raccogliere la merda vada meglio la carta!

08 ottobre 2009

Asintoto geografico

Deserto di Sale ovvero autoritratto
Il deserto ha sempre esercitato su di me un fascino fortissimo: il fascino del misterioso.
Se ti chiedi cosa ci sia di misterioso in un luogo in cui non c'è nulla, stai partendo con il piede giusto. Il punto è proprio che non c'è nulla.
Il deserto è un concetto astratto.
In linea di principio, il deserto esiste solo come atto di fede. Nessuno potrà mai testimoniarne l'esistenza. Vederlo.
Quando visiti il deserto... il deserto non è più deserto. C'è un visitatore. Un intruso. Quel posto non è più deserto nel senso stretto del termine. E' altro. E' un visitatore. Sei tu. Solo tu. Tu solo.
Il deserto è un viaggio interiore. Non è un luogo: è un'esperienza.
Filosofia? Ciappini della mente? Cagate?
Che ne so. Per dirlo bisognerebbe provare. Fare l'esperienza.
Ecco lo spirito con cui ho visitato il deserto in occasione del lungo weekend di fine Ramazan. Tre giorni di deserto. Un'avventura interiore davvero intensa, impossibile da descriveere compiutamente. Tre giorni spesi in gruppo sulla jeep, giudati in mezzo al nulla dalle coordinate di una bussola GPS, che ci ha permesso di raggiungere tutti i luoghi e i punti in cui i locali ci hanno offerto ospitalità: cibo, un letto, un bicchiere di té. Bello.
Ho visto il deserto di sale. Un luogo in cui la strada è una lunghissima e flebile traccia sul terreno. Due goccie di pioggia e sparisce. Fin da quando l'uomo ne ha memoria, le due goccie di pioggia non son mai passate di lì.
Ho visto il deserto di sabbia. Dune. Dune. Dune. Tutto uguale, eppure tutto diverso. In continua evoluzione interattiva. Una folata di vento, un passo, una piccola frana di sabbia. L'uguale mai uguale.
Ho visto la tempesta di sabbia: impossibile vedere, impossibile respirare, impossibile orizzontarsi, impossibile ripararsi. Ci si accartoccia e si aspetta. Piccoli.
Ho visto il sole di mezzogiorno. Ovunque. Nessuna zona in ombra. Surreale. Sembra impossibile camminare in un luogo in cui non c'è modo di mettersi all'ombra. Mi sentivo come un uccello che vola in un cielo infinito, senza rami in cui posarsi.
Ho visto le persone del posto. Persone guidate da altre logiche, da altre regole, da altri ritmi. Persone caparbiamente abbarbicate all'esistenza.
Ho visto le oasi. Pozzanghere sporche e verde maestoso. Ho percepito di avere qualcosa in comune con le piante. Un alito di vita. Non mi era mai capitato prima.
Ho visto il vero paradosso del deserto: un luogo vuoto. Ma pieno. Intenso.
Probabilmente il modo migliore per descrivere il deserto è ispirarsi a questo paradosso. Inutile scrivere o parlare più di tanto. Il deserto è un'esperienza personale. Un viaggio dell'anima. Il linguaggio dell'anima sono le sensazioni, non le parole.